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Mancata comunicazione dei dati della patente

È illegittimo togliere i punti dalla patente a chi, nel momento in cui riceve la multa, non ricorda a chi ha prestato la propria auto e che, quindi, ha commesso l’infrazione.

Introduzione:

I nostri esperti di Infortunistica Stradale ci comunicano che la mancata comunicazione dei dati del conducente non comporta più la seconda multa in caso di contravvenzione con tutor, autovelox o passaggio col semaforo rosso.


Una vittoria per tutti gli automobilisti multati dall’autovelox:

È illegittimo togliere i punti dalla patente a chi, nel momento in cui riceve la multa, non ricorda a chi ha prestato la propria auto e che, quindi, ha commesso l’infrazione; e ciò a maggior ragione quando il veicolo viene utilizzato da tutto il nucleo familiare.

A dirlo è la Cassazione con una sentenza di poco fa che capovolge il precedente e consolidato orientamento contrario ai trasgressori.

Gioiranno tutti i conducenti a cui rimangono pochi punti sulla patente.

Da oggi è possibile evitare, in un sol colpo, sia l’azzeramento della patente, sia la seconda multa per mancata comunicazione dell’effettivo conducente.

Resterà da pagare la contravvenzione principale, un danno minimo per molte persone che non possono permettersi di rimanere a piedi.

Questo significa che chi prende una multa non rischia di pagare la seconda se presta l’auto. Come è possibile tutto ciò?

Ecco spiegato il sistema per salvare i punti della patente.


La contestazione immediata:

La regola vuole che tutte le multe debbano essere contestate all’atto stesso dell’illecito.

La polizia dà:

  1. lo stop all’auto,

  2. fa fermare il conducente,

  3. gli dà la possibilità di difendersi,

  4. infine gli consegna la contravvenzione.

Ciò però non è sempre possibile: si pensi al passaggio col semaforo rosso e ai tutor e autovelox nelle strade extraurbane, dove bloccare un mezzo in corsa potrebbe costituire un serio pericolo per la circolazione.

Pertanto, quando l’infrazione non può essere contestata sul momento, la multa viene spedita a casa del proprietario del mezzo entro i 90 giorni successivi.

Insieme ad essa c’è l’invito a comunicare i dati dell’effettivo conducente (nome, cognome e patente di colui che ha concretamente violato il codice della strada) in modo da decurtargli i punti della patente.

Tale comunicazione va data anche se alla guida dell’auto vi era lo stesso proprietario e non un altro soggetto.

Chi non fornisce questa comunicazione senza una valida ragione subisce una seconda multa da 282 a 1.142 euro.


Pertanto, nel momento in cui riceve la multa, il titolare del mezzo ha due scelte:

  1. comunicare i dati dell’effettivo conducente: se è lui stesso dovrà “autodenunciarsi” subendo sia la multa principale che il taglio dei punti;

  2. non comunicare i dati dell’effettivo conducente: se è lui stesso, subirà sia la multa principale che la seconda per la mancata comunicazione, ma non gli potranno essere sottratti i punti della patente (in quanto non vi è certezza sull’identità del trasgressore).


Che succede se il proprietario non ricorda a chi ha prestato l’auto?

Fino a ieri la Cassazione ha detto che questo comportamento non costituiva una giustificazione.

Sicché il titolare del mezzo avrebbe ugualmente subito la seconda sanzione.

Con le ultime ordinanze invece è stato sposato il principio opposto:

è legittimo non ricordare a chi si è prestato l’auto se ciò è supportato da valide argomentazioni come, ad esempio, il fatto che sia decorso molto tempo dall’accertamento e il mezzo sia utilizzato da più componenti della stessa famiglia.

La legge non può imporre di ricordare, né vi può essere una responsabilità oggettiva per cose in custodia, la quale può scattare – a tutto voler concedere – solo per i danni civili, ma non certo per le sanzioni amministrative .


Cosa cambia?

Dunque, da oggi, chi riceve una multa può “limitare i danni” e, pagando solo la sanzione principale, evitare sia la decurtazione dei punti della patente sia la seconda sanzione per non aver comunicato i dati del conducente:

gli basterà rispondere all’invito della polizia nei canonici 60 giorni ma, in tale occasione, affermare di avere un’auto condivisa dal coniuge o dai figli e che, per via del decorso del tempo, è impossibile risalire all’identità di chi, nel momento stesso dell’infrazione, fosse stato al volante.

Un comportamento del genere, stando al mutato orientamento della Suprema Corte, è legittimo e consente di salvare “capra e cavoli”.


Perché è importante questa sentenza?

Finora la Cassazione aveva di fatto esteso automaticamente questa sanzione anche a chi risponde di non sapere:

la norma punisce chi omette la risposta senza avere un «giustificato e documentato motivo» e la Corte ha riconosciuto fondate le giustificazioni solo in pochi casi.

Infatti, i giudici hanno prevalentemente affermato che il proprietario, essendo responsabile della circolazione del veicolo, è sempre tenuto a conoscere l’identità di chi lo utilizza, se non altro per accertarsi che abbia la patente.

Né vale giustificarsi col fatto che il mezzo viene abitualmente utilizzato da più patentati, come nel caso di un’impresa:

occorre adottare misure organizzative (come la tenuta di un registro) per essere sempre in grado di ricostruire chi fosse il conducente.

Anzi, più dipendenti ha un’impresa più adeguato deve essere il sistema aziendale di controllo.

Nell’ultima ordinanza, invece, la Cassazione “ripesca” una sentenza interpretativa della Corte costituzionale che riconosce al proprietario «la facoltà di esonerarsi da responsabilità, dimostrando l’impossibilità» di sapere chi guidasse.

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