La sola convivenza con il paziente deceduto giustifica il risarcimento del danno per la perdita parentale.
Il fatto riguarda i familiari di un paziente deceduto in ospedale a causa di un errore medico, ai quali il Tribunale di Venezia ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni subiti sia in qualità di eredi del paziente sia direttamente per la c.d. “Perdita del rapporto parentale”, giustificata dalla mera convivenza con il paziente. Ecco l’intera storia.
Il fatto
Ricoverato presso l’Ospedale di Mestre nel maggio 2013, il paziente venne colpito da un’anemia secondaria con emorragia duodenica 4 mesi dopo.
Il trattamento fu limitato alle sole procedure di embolizzazione, successivamente alle quali lo stesso veniva ricoverato senza essere sottoposto ad alcuna terapia di profilassi antibiotica nonostante avesse subito un intervento al cuore.
Dopo alcuni mesi, il paziente iniziava ad accusare febbre e spossatezza ma veniva comunque dimesso dall’ospedale, dove ritornava ricoverato solo pochi giorni dopo.
Solo in occasione di un nuovo ricovero nel dicembre dello stesso anno, reso necessario dalle condizioni di salute aggravate del paziente, i sanitari procedevano a un ecocardiogramma da cui emergeva un grave processo infettivo.
Nonostante le dovute terapie, tuttavia, il paziente decedeva per un collasso.
La dimostrazione dell'errore medico
Il tribunale ha innanzitutto accolto la richiesta risarcitoria, ricordando che tra il paziente e la struttura sanitaria vige un contratto obbligatorio c.d. “atipico” che si instaura automaticamente quando il paziente viene accettato all’interno della struttura.
Esso si chiama contratto di spedalità e prevede che la struttura si obblighi ad adempiere alle prestazioni di carattere sanitario, alle prestazioni secondare ed eventuali (come il vitto e l’alloggio, l’assistenza e così via).
In considerazione di questo tipo di contratto, la struttura è responsabile ai sensi degli art. 1218 e 1228 del Codice Civile, per l’inadempimento o il parziale adempimento delle prestazioni sanitarie.
Importante anche ricordare che l’onere della prova, secondo la giurisprudenza, è sempre a carico del danneggiato (il c.d. attore della causa).
A esso spetta quindi provare che sussista il cosiddetto “nesso causale” tra la condotta della struttura sanitaria e il danno lamentato – come il decesso.
L’attore deve quindi poter dimostrare, attraverso l’assistenza di sanitari, specialisti e consulenti, che i medici abbiano effettivamente violato le regole di diligenza previste e che questa violazione abbia comportato la lesione subita dal paziente.
La decisione del Tribunale
Con il supporto della CTU, il Tribunale accertava l’esistenza di un nesso causale tra la condotta dei sanitari e il decesso del paziente. Nel caso specifico, emergeva che i sanitari errarono la prima diagnosi del paziente, mancando di effettuare i dovuti accertamenti diagnostici in presenza delle evidenti crisi febbrili del paziente e dimettendolo dalla struttura senza una consulenza cardiologica ufficiale. Da tali accertamenti omessi, sarebbe stata quindi individuata l’infezione del paziente che sarebbe potuta essere trattata conseguentemente.
In considerazione di tale inadempimento imputabile ai medici e quindi alla struttura sanitaria, il giudice ha ritenuto che la suddetta condotta dei medici fosse qualificabile come colposa, in quanto violante le normali regole di prudenza, diligenza e perizia e non sussistevano problemi di particolare difficoltà.
Per quanto concerne, infine, la sussistenza dei danni invocati, il giudice – oltre alla sussistenza del danno biologico subito dal paziente deceduto – ha riconosciuto altresì la sussistenza del danno da perdita del rapporto parentale subito dai congiunti.
La perdita parentale
Il giudice del Tribunale di Venezia ha ricordato, nel caso di specie, che:
Il danno da perdita parentale si identifica con il vuoto costituito dal non poter più godere della presenza e del rapporto del proprio congiunto e quindi sulla distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione e sulla quotidianità dei rapporti tra il deceduto e i suoi congiunti.
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che fosse sufficiente ad assolvere detto onere probatorio il fatto che gli attori avessero allegato la convivenza della moglie con il paziente deceduto e conseguentemente ha liquidato a ogni attore il risarcimento del danno per la lesione del rapporto parentale, oltre alla responsabilità medica, anche se quantificato nella sua misura minima proprio in considerazione della limitata prova fornita in giudizio.
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