
Copyright: il diritto d’autore sui contenuti caricati dagli utenti sui profili di Facebook resta di proprietà del creatore dell’opera; il social network ha solo una licenza d’uso senza esclusiva. Tutto ciò che pubblichi su Facebook resta di tua proprietà: è questa, in buona sostanza, la risposta all’interrogativo che, da qualche mese, sta circolando sul social network più usato del momento. Numerosi utenti, dopo essersi chiesti se foto, testi, video e qualsiasi altro contenuto postato sul proprio profilo divenisse automaticamente proprietà indiscussa di Facebook, hanno iniziato a “copiare e incollare”, sulla bacheca, una dichiarazione di paternità che circola da diverso tempo in rete. Dichiarazione che non ha alcuna utilità ed effetto (e, in determinati tratti, neanche significato giuridico). E questo perché non è un dichiarazione unilaterale a poter modificare la legge, tantomeno se riportata dopo che l’utente ha già sottoscritto (approvandolo con il clik) il contratto con il gestore del servizio (Facebook, per l’appunto). Cosa prevede, nel dettaglio, la legge?
Le norme che qui vengono in considerazione sono unicamente quelle sul diritto d’autore , una legge che risale al 1941 (anche se, nel tempo, ha subito diverse modifiche), ma che, nel suo impianto originale, non è stata sostanzialmente mai modificata, nonostante l’avvento delle nuove tecnologie. La legge sul diritto d’autore prevede, in capo al creatore del contenuto (un testo, una foto, un’opera musicale, uno spot video, ecc.), due tipi di diritti che nascono automaticamente con la nascita dell’opera (quindi, senza bisogno di registrazione alla SIAE o altri sistemi di protezione del copyright): – il diritto alla paternità dell’opera, ossia ad essere riconosciuti sempre come l’autore e, quindi, citati anche in caso di riproduzione ad opera di terzi – il diritto a sfruttare economicamente l’opera, riproducendola, vendendola, duplicandola, ecc. Se il diritto alla paternità non può mai essere ceduto a terzi, a pena di nullità del relativo contratto (per es.: non posso vendere a Tizio il diritto ad affermare di essere lui l’autore del libro che, invece, ho scritto io), quello di sfruttamento economico invece può essere oggetto di vendita, donazione, ecc. (per es.: posso cedere a una cada editrice tutti o parte dei proventi derivanti dalla vendita del mio volume). Ebbene, nel momento in cui si sottoscrive l’accordo con Facebook per la creazione del profilo personale, in quel momento l’utente accetta (con coscienza o, spesso, con superficialità) la cessione della licenza d’uso in capo al gestore della piattaforma. La cessione è “senza esclusiva”. Il che, in pratica, significa che: – nessuno può utilizzare i contenuti che tu posti sul tuo profilo, non li può prelevare, utilizzare per scopi personali, vendere o sfruttare economicamente (per es., Tizio non potrebbe usare una foto da me scattata e poi caricata sul mio profilo per farne la copertina di un proprio libro). Per farlo è sempre necessario sempre il tuo consento. Diversamente scatta il risarcimento del danno patrimoniale e morale dell’autore; – nessuno può dirsi proprietario dei contenuti da te postati sul tuo profilo: il fatto che tu li abbia condivisi su Facebook non implica che gli stessi siano diventati di pubblico dominio. Come detto, il diritto di paternità non può essere mai ceduto; – con la pubblicazione su Facebook, le opere restano coperte dal diritto d’autore nonostante la loro diffusione e la possibilità, concessa dal social network, della condivisione dei contenuti; – solo Facebook è legittimato, a utilizzare – secondo le modalità indicate in contratto – i contenuti da te postati in passato. Un’utilizzazione che, certo, non è per scopi personali, ma consiste solo nella messa a disposizione, sulla timeline (e, quindi, per tutti gli iscritti), di quanto pubblicato dai singoli utenti nei propri profili personali. Essa poi si spinge alla possibilità di commentare, condividere e taggare; – il fatto che il contratto con Facebook sia una licenza d’uso non esclusiva implica che l’autore resta comunque libero di sottoscrivere ulteriori contratti di cessione dei diritti dei propri contenuti (per es. potrei vendere al gestore di una cineteca il diritto di riprodurre il mio spot video, nonostante lo abbia prima caricato su Facebook). Questi principi sono stati di recente affermati anche dal Tribunale di Roma . La sentenza è conforme a un altro precedente edito della Corte distrettuale di New York, che con la sentenza del 13 gennaio 2013, aveva citato espressamente i termini di Servizio di Twitter, dove è scritto chiaramente, con riferimento ai diritti degli utenti: “Quel che è tuo, resta tuo – Tu sei il proprietario dei tuoi Contenuti”. www.infortunisticaconsulting.com