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Dirigenti e accertamenti illegittimi Agenzia Entrate: come contestare


Accertamenti fiscali sottoscritti dai falsi dirigenti: anche dopo le sentenze della Cassazione, l’Agenzia delle Entrate resta vincolata alla prova contraria a seguito della contestazione del contribuente. Il contribuente può ancora vincere contro gli atti firmati dai cosiddetti “falsi dirigenti”: potrebbero infatti rivelarsi un boomerang contro l’Agenzia delle Entrate le tre recenti sentenze della Cassazione che ha dichiarato legittimi gli accertamenti fiscali sottoscritti dai cosiddetti “dirigenti illegittimi” perché decaduti per effetto della sentenza dalla Corte Costituzionale. L’interpretazione appena sposata dai giudici supremi, infatti, onera l’amministrazione finanziaria di una prova non sempre facile da fornire e che, a conti fatti, potrebbe avvantaggiare i contribuenti. Insomma, l’eccezione del “dirigente illegittimo” è tutt’altro che al capolinea. Ma procediamo con ordine. Cosa dice la legge? Il DPR sull’accertamento delle imposte sui redditi stabilisce che gli accertamenti fiscali (in rettifica o d’ufficio) debbano essere necessariamente sottoscritti: – dal capo dell’ufficio – oppure da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Cosa ha detto la Cassazione? La Cassazione, lo scorso 9 novembre, ha ritenuto legittimi gli atti firmati dai funzionari promossi senza concorso, basandosi su una interpretazione strettamente letterale della norma appena citata. In pratica, il principio espresso dalla Corte sarebbe il seguente: non è necessario che a firmare l’atto sia un dirigente, ma deve trattarsi del capo ufficio o di un soggetto appartenente alla carriera direttiva da lui delegato. Affinché l’accertamento fiscale possa considerarsi efficace, quindi, non è necessaria la qualifica di dirigente: l’importante è che i funzionari deleganti e quelli delegati alla sottoscrizione degli avvisi appartengano alla “terza area” dell’Agenzia delle Entrate perché essi rientrano comunque negli “impiegati della carriera direttiva”. Se non è il capo ufficio, ci deve essere la delega La Corte precisa, quindi, che, se a firmare l’accertamento non è il capo ufficio, il soggetto firmatario deve: – appartenere alla carriera direttiva (quindi, deve essere un funzionario della “terza area”) – munito di delega del capo ufficio La delega, in particolare, al di là del nome dell’atto con cui la stessa viene conferita (potendosi anche parlare di un ordine di servizio) deve necessariamente avere i seguenti requisiti: – deve essere scritta; – deve essere motivata (per esempio: carenza del personale, assenza, vacanza, malattia ecc.); – deve indicare espressamente il soggetto (nome e cognome) al quale viene conferita la delega, senza un generico richiamo alle sue funzioni o alla sua qualifica; – deve indicare l’arco temporale entro la quale la delega opera: ossia il giorno d’inizio e quello della scadenza della sua validità. In forza di ciò, la Suprema corte ha dichiarato l’illegittimità delle cosiddette deleghe “in bianco” o “impersonali”, anche quelle nelle quali viene indicata la sola qualifica professionale del funzionario intestatario della delega e non anche le generalità di chi effettivamente riveste tale qualifica. La disposizione in esame offre quindi al contribuente una garanzia in più specialmente di fronte al (non infrequente) fenomeno del turnover di capi ufficio o capi team dell’Agenzia che al momento della sottoscrizione degli atti impositivi potrebbero essere diversi da quelli a cui era stata genericamente conferita la delega. Cosa deve fare il contribuente per difendersi? L’ultima questione affrontata dalla Cassazione riguarda l’onere della prova. Secondo la Corte, al contribuente spetta solo sollevare l’eccezione di contestazione dell’atto perché I) non firmato dal capo ufficio o da altro funzionario della carriera direttiva, II) oppure firmato in assenza di una valida delega. La prova contraria, invece, spetta all’Agenzia delle Entrate la quale – essendo in possesso dei documenti per provare la legittimità degli atti (e, quindi, la carriera del firmatario dell’atto e la procura conferita) – deve dimostrarlo in giudizio (è il cosiddetto principio di “vicinanza della prova”) in quanto si tratta di circostanze facilmente documentabili per il fisco e meno per il contribuente non essendo in possesso dei relativi documenti d’ufficio. Questo significa che il contribuente può semplicemente limitarsi a sollevare le seguenti eccezioni con l’atto introduttivo del ricorso: – chi ha firmato o ha delegato la firma dell’atto non riveste la qualifica di capo dell’ufficio o di impiegato alla carriera direttiva: in tal caso, l’Agenzia delle Entrate dovrà dimostrare il contrario, producendo una certificazione attestante il possesso dei requisiti soggettivi di professionalità ; – chi ha firmato l’atto, essendo stato incaricato dal capo ufficio, non era in possesso di una valida delega perché I) non scritta; II) oppure non motivata; III) oppure priva di indicazione del nome e cognome del delegato; IV) oppure priva dell’indicazione della durata della delega: in tal caso, l’Agenzia delle Entrate dovrà dimostrare il contrario producendo un atto specifico o un ordine di servizio con cui è stata conferita la delega di firma o di funzioni recante il contenuto necessario prescritto dalla legge e appena indicato. In entrambi i casi, se l’Agenzia delle Entrate non fornisce in giudizio tale prova – prova che deve essere esibita all’atto della costituzione e non successivamente (perché altrimenti tardiva) – l’atto di accertamento impugnato è nullo . - See more at: http://www.infortunisticaconsulting.com

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