
Danno alla salute per diagnosi sbagliata anche in presenza di malattia terminale: un diverso approccio medico avrebbe potuto “regalare” al malato un palliativo contro il dolore. C’è sempre responsabilità medica in presenza di una diagnosi tardiva: e ciò anche se la malattia del paziente è infausta e terminale. Questo perché una corretta terapia potrebbe, quantomeno, evitare al paziente il dolore degli ultimi momenti di vita. Lo ha detto la Cassazione con una sentenza di recente pubblicazione . Stretta di vite, quindi, contro i medici che prendono “alla leggera” la sintomatologia lamentata dal paziente, errando o ritardando nel corretto inquadramento della malattia e nella relativa cura. Risultato: nonostante l’aggressività del morbo e l’ineluttabilità dell’esito della patologia – l’errore nella diagnosi comporta la responsabilità medica del professionista e, per gli eredi, il diritto al risarcimento del danno morale terminale patito dal parente deceduto. La responsabilità del medico, dunque, non scatta solo in presenza di una omissione che, pur con la possibilità di salvare il malato, non impedisca invece l’evento infausto. Al contrario, anche in presenza di malattie terminali si può parlare di risarcimento per colpa professionale. Se è vero, infatti, che per far scattare l’obbligo al risarcimento del danno è necessario aver prodotto un danno, è anche vero che tale danno potrebbe anche consistere nella perdita di una chance di vivere (anche di poco) più a lungo e, soprattutto, di patire minori sofferenze fisiche. Inevitabile il riferimento alle patologie tumorali, come proprio nel caso di specie deciso dalla Suprema Corte. Un medico non aveva saputo riconoscere, nelle perdite ematiche di una donna, un tumore alla cervice dell’utero: malattia aggressiva e quasi sempre mortale, ma una corretta diagnosi avrebbe potuto evitare alla malata una inutile sofferenza e, forse, allungarle (sebbene di poco) la vita. Si legge nelle pagine della sentenza: “anche la denegata possibilità di un intervento palliativo – conseguente ad una diagnosi tempestiva – cagiona al paziente un danno già in ragione della circostanza che nelle more egli non ha potuto fruirne e dovendo inoltre sopportare il dolore che la tempestiva esecuzione dell’intervento palliativo avrebbe potuto alleviargli, sia pure senza la risoluzione del processo morboso. Il corretto intervento del medico, anche se non avrebbe potuto salvare la vita, avrebbe comunque concesso al paziente la chance di conservare, durante quel decorso, una “migliore qualità della vita” intesa quale possibilità di programmare (…) il proprio essere persona e, quindi, in senso lato l’esplicazione delle proprie attitudini psico-fisiche in vista e fino a quell’esito”. Ebbene, tale tipo di lesione dà diritto agli eredi di agire, in causa, contro il medico, per ottenere il risarcimento per danno morale terminale. - See more at: http://www.infortunisticaconsulting.com