
La violazione dei doveri derivanti dal matrimonio integra gli estremi dell’illecito civile quando lede diritti costituzionalmente garantiti: servono però gli accertamenti clinici e non bastano i testimoni.
Infedeltà coniugale: nessun dubbio che, in una eventuale causa di separazione, il fedifrago rischia il cosiddetto addebito (ossia l’accertamento, da parte del giudice, che il matrimonio è “scoppiato” per colpa sua). Con tutte le conseguenze che ciò comporta in termini di mantenimento.
Il coniuge tradito non può, quindi, di norma, chiedere anche il risarcimento del danno non patrimoniale a causa del comportamento infedele dell’ex. Potrebbe però farlo a patto che riesca a dimostrare al giudice di aver subìto un serio danno alla salute. I chiarimenti giungono da una recente sentenza del Tribunale di Bari [1].
L’improvviso abbandono e il venir meno a tutti i doveri di assistenza morale e materiale che gravavano sul marito non danno diritto alla moglie (e viceversa) all’indennizzo. E ciò perché la sanzione tipica, prevista dall’ordinamento per questi casi, è la dichiarazione di addebito. Ma si è ormai affermato un orientamento giurisprudenziale in materia di “danni endo-familiari” secondo cui “i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale appunto l’addebito della separazione”. Se, infatti, si accerta, davanti al giudice, che il comportamento illecito – nel nostro caso, l’infedeltà – abbia comportato la lesione di diritti protetti dalla Costituzione, si può parlare anche di un normale illecito civile. Il tradito, così danneggiato, potrà avviare un’autonoma causa volta ad ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali [2].
Quanto alle prove, sarà onere del coniuge che si ritenga danneggiato fornire la dimostrazione degli elementi costitutivi di tale responsabilità a carico dell’altro coniuge, e quindi, documentare di aver subito un serio pregiudizio alla salute. Insomma, è necessario che la frustrazione per la cessazione della relazione si traduca in una vera e propria patologia, clinicamente accertabile e comprovata da medici e accertamenti clinici.
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